Augurandovi un buon inizio d’Estate,

con questa newsletter di giugno vi parliamo di Trigenerazionale, con l’intervista al Dottor Luca Pappalardo, psicologo, psicoterapeuta, mediatore familiare e consulente tecnico del tribunale di Firenze, socio fondatore e direttore della didattica di IAFF (Istituto Alta Formazione e di Psicoterapia Familiare di Firenze).
A seguire, sempre sul tema, l’articolo di Roberta Cambi.
Infine, segnaliamo la partenza del Seminario Vendetta e Perdono – Etica dei Legami, tenuto dal Dottore Pappalardo, il 18 giugno. C’è ancora posto per iscriversi!
Buona lettura!

CometeNews – 10ª uscita

Intervista a Luca Pappalardo

Psicologo Psicoterapeuta, socio fondatore e direttore della didattica di IAFF

Dott.ssa Leporatti: Buongiorno Luca e ben trovato, è come essere in famiglia vista la conoscenza che ci lega da tanti anni. E’ con grande piacere che ti chiedo questa intervista per la newsletter di Co.Me.Te Empoli.
La prima domanda ci vede ancora più vicini, perché ci lega ad una persona che abbiamo conosciuto, tu molto più di me, ma che abbiamo amato entrambi e che continuiamo ad amare molto ancora oggi nonostante ci abbia da poco lasciato.
Mi riferisco a Vittorio Cigoli e al suo concetto di trigenerazionale. Vorrei che tu ce ne parlassi e ci dicessi come porti avanti ciò che Vittorio Cigoli ci ha donato. 
 
Dott. Pappalardo: Cercherò di farlo trovando un modo di coniugare il racconto ed il ricordo con alcuni elementi teorici. Vittorio mi ha insegnato che c’è relazionale e relazionale. Lui non era in senso stretto un sistemico, tu lo sai Conny, ma il paradigma sistemico, il modo di guardare come funzionano le cose tra gli uomini, tra le persone che appartengono a certi contesti, è ormai trasversale a tantissimi approcci teorici e alla teoria di varie prassi cliniche. E’ essenzialmente un modo di osservare il funzionamento del soggetto e delle relazioni; il concetto di funzione è a mio avviso, con un utile riduttivismo, il concetto più caratterizzante della Teoria dei Sistemi, se vogliamo, quello centrale, su cui poi si innestano tutti gli altri.
Quando poi si va invece sulla prospettiva relazionale, è la ricerca di senso, il significato che i soggetti attribuiscono ai significanti, che prende il centro della concettualizzazione. Relazionale non vuol dire solo occuparsi di relazioni.  Anche i freudiani si occupano di relazioni, ma all’origine della teoria freudiana della mente c’è la pulsione come motore dell’azione umana. L’approccio relazionale, per dirla con Boszormenyi-Nagy, è invece “un bisogno primario strutturante il corredo motivazionale di ogni individuo “ o, con Stern, “l’intersoggettività come sistema motivazionale decisivo per la sopravvivenza della specie”. 
Cigoli, come ti dicevo prima, sosteneva d’altronde che c’è relazionale e relazionale. Vanno infatti differenziate del relazionale le matrici biologico-evoluzionistiche, quelle biologico-innatiste e quelle antropologico-culturali. Vittorio enfatizzava le matrici culturali dell’uomo, ciò che connota le rappresentazioni dei significati depositati nei legami familiari, che l’individuo riceve nello scambio generazionale e che pertanto deve trattare soggettivamente, quelle che muovono in senso affettivo ed etico la vita di relazione del famigliare.
In una prospettiva per tanti versi analoga, per noi “familiaristi” il relazionale intanto invita a considerare sempre non solo la diade verticale tra genitori e figli ma quella triangolare che si occupa di almeno tre generazioni. Ci hanno insegnato – a me 40 anni fa – partendo da Minuchin, Bowen, Nagy e tutti gli altri pionieri, passando per Maurizio Andolfi – di cui si parlava un attimo prima di cominciare questa intervista – fino al nostro Rodolfo de Bernart, che devono essere almeno tre le generazioni che vanno considerate quando si fa una ricostruzione delle vicende personali  di un paziente o di un allievo o quando si fa, appunto, una domanda relazionale.  
In Vittorio Cigoli – ed anche nella mia sensibilità clinica – il relazionale è poi simbolico, così anche il trigenerazionale è, in questa prospettiva, simbolico. Syn- ballo, etimologicamente significa mettere insieme. in altri termini appunto ciò che lega cose diverse e tramite l’azione di congiunzione permette il riconoscimento del nesso tra significante e significato. Il simbolico, così, va inteso in senso psicologico – e soprattutto in un’ottica sistemico-relazionale – come una struttura di senso, assai spesso latente, che connette tra loro gli aspetti basilari delle relazioni familiari; attraversa il livello relazionale ma prima ancora, se vogliamo, quello interattivo, facendo da matrice per la costruzione dei significati delle singole vicende familiari ed anche degli scambi conversazionali.

Per farti capire come tutto ciò ricade nelle vite concrete di tutti noi, potrei raccontarti per esempio un qualcosa di personale. Ho sempre mangiato in un secondo momento ciò che avanzava dal pasto precedente. Lo faceva anche mia madre. E quando non più tardi di ieri sera ho preparato una cena per i figli che venivano a trovarci con i rispettivi partner, ho ancora una volta riciclato degli avanzi. Loro mi prendono in giro per questo, perché a me non piace sprecare. Questo esempio degli avanzi – l’ho capito con il tempo, attraverso anche gli strumenti che arrivano dalla nostra formazione professionale – era una cosa che mi legava non solo a mia madre, che quando ero ragazzino appunto faceva la stessa cosa – mentre mio padre, figlio unico di madre vedova, mangiava pane fresco e la “pomarola” doveva essere fatta di recente. In una prospettiva diadica si può verosimilmente ipotizzare che per vicende precedenti probabilmente cercavo di farmi apprezzare anche seguendo questo stile di vita materno. In una dimensione trigenerazionale è però una storia molto più profonda, remota e complessa, che mi porta fino al 1951, quando muore mio nonno Guido.  Non l’ho mai conosciuto, perché sono nato 6 anni più tardi. Alla fine della guerra lui, per ragioni complicate, che non sto qui a spiegare, aveva pagato duramente la propria appartenenza politica, anche se era un uomo buono e altruista, per questo molto stimato a Siena, la sua città. Per le conseguenze di quanto ho accennato, aveva dovuto vendere gran parte delle sue sostanze, che erano cospicue prima della guerra, e per mantenere una famiglia di ben 7 persone che aveva attraversato quelle peripezie economico-esistenziali.  Poco dopo essere stato reintegrato nelle sue funzioni lavorative al Monte dei Paschi, muore e mia madre, diciottenne, deve andare a lavorare prendendo il suo posto, come succedeva in certe banche fino a poco tempo fa, per sostenere la sua famiglia. 
Ecco, penso che il mio mangiare avanzi sia un prodotto di questa storia trigenerazionale, una vicenda il cui senso latente peraltro non mi è mai stato da lei dichiarato, né tanto meno in quei significati che personalmente ho dato successivamente, né con un corredo di esplicite lezioni morali al riguardo. È passato invece nell’implicito tra le generazioni, transgenerazionalmente direbbe la psicoanalisi. Per un ulteriore sviluppo soggettivo è forse anche per questo che amo cucinare e la tavola, la convivialità, ha così tanta importanza nei miei modi di “fare famiglia”, pur nel rispetto di questa originaria penuria, come mi ricordano scherzando i miei figli. 
È solo un esempio, volutamente minore, di ciò che Cigoli intendeva per simbolico.

Ciò che passa attraverso le generazioni infatti non è fatto di modelli relazionali e di aspetti affettivi, ma di valori, di riti, di miti. Di quell’insieme di elementi che in definitiva va a costituire quell’approccio relazionale antropologico culturale, di cui parlavo in precedenza, sulla base del quale viene formato l’uomo, che tipo di lezione di vita viene impartita dalla famiglia,  che poi lascia in qualche misura più o meno libero il soggetto di reinterpretare questa stessa lezione. 
Credo che sia importante questo taglio concettuale, questo approccio al relazionale, perché spesso ne facciamo altrimenti solo una schematica valutazione di somiglianze e differenze di certe modalità comportamentali, spostando l’attenzione solo agli affetti che permeano le modalità relazionali. Proprio venerdì scorso spiegavo agli allievi come invece si compenetrino profondamente affettività ed etica della famiglia e come questi due poli viaggino di pari passo attraverso appunto i simboli, le transizioni poco conosciute, che permeano profondamente l’individuo, il suo mentale, lo psichismo di una famiglia.
Non so se sono riuscito a farti arrivare “i profumi e gli aromi” di questa idea, che devo alla lezione del nostro comune maestro Vittorio.
 
Dott.ssa Leporatti: E anche le emozioni di questa idea. Sicuramente sì. Allora, un’altra domanda: nella clinica si dà tanta attenzione a ciò che è trigenerazionale, ne parlavi un attimo fa. Nella tua pratica clinica, come tratti questo aspetto e come lo declini?
 
Dott. Pappalardo: Mi piace che tu che tu stia facendo questa intervista per Co.Me.Te., che riunisce clinici di varia formazione di origine, nelle tre categorie che l’acronimo Co.Me.Te richiama, ovvero Consulenza, Mediazione, Terapia. Secondo me è clinico infatti l’approccio comune di tutti coloro che si occupano del disagio e della sofferenza delle persone, non necessariamente in modo terapeutico; anche dei mediatori e dei consulenti, per intendersi, nonostante che alcuni di loro abbiano di base un’altra formazione accademica.
Credo che la possibilità di tener conto del trigenerazionale durante l’intervento sia trasversale a tutte e tre queste modalità di aiuto alle famiglie impegnate nelle difficili transazioni della vita. Molto spesso nella consulenza e nella mediazione, esplorare la dimensione trigenerazionale è proprio soprattutto di una fase di inquadramento della vicenda o del conflitto, per comprendere le caratteristiche psicologiche ed affettive che hanno prodotto i problemi di cui ci occupiamo. Nella mediazione – lo sappiamo grazie all’impostazione tracciata a suo tempo da Dino Mazzei – ad esempio si può tornare ad approfondire nel trigenerazionale i significati simbolici degli oggetti del conflitto.

Nella terapia è più frequente “l’andare e riandare” alle origini, un po’ come la risacca del mare, che riporta l’onda a battere la riva. La spola tra presente, passato e futuro è infatti più continua nella terapia. Nella consulenza, soprattutto nell’uso clinico della CTU, codificato a suo tempo da Vittorio Cigoli ed anche da me – anche se è poco elegante “citarsi addosso” – è importante e distintivo rispetto ad altri modelli teorico-pratici ricostruire un senso, nella sua duplice accezione di significato e di direzione, della storia, anche lontana, che ha prodotto quel contenzioso di cui ci occupiamo come consulenti del tribunale. Se ti ricordi, Conny, lo ribadivamo anche al Congresso “La Tempesta”, tenutosi pochi giorni fa in Palazzo Vecchio a Firenze, dove eravamo allo stesso tavolo.
Tornando alla psicoterapia, il trigenerazionale è depositato negli elementi rappresentazionali, cioè quelle costruzioni della mente che saldano gli aspetti cognitivi a quelli emotivo-affettivi (“un’idea-sentimento insomma, per dirla con Dostoevskij).  Spesso, nella terapia individuale, per esempio, si lavora col paziente per ricercare il percorso che hanno compiuto le rappresentazioni, riemergendo anche dall’inconscio e dall’implicito, partendo da remote vicende per determinare la funzione ed il significato della psicopatologia o del dolore connesso al vivere. Così come è utile con le coppie, in mediazione e in psicoterapia, far capire il punto di vista rappresentazionale dell’altro, precedentemente determinatosi nella dinamica relazionale con la propria famiglia d’origine. 
Questo, in breve, l’approccio tradizionale al trigenerazionale di un operatore sistemico-relazionale nella consulenza, nella mediazione ed in psicoterapia.
Però c’è una cosa particolare, che ti voglio raccontare, di quello che faccio e che lega molto la terapia di coppia o la terapia individuale. Ma in qualche modo anche la psicoterapia con la mediazione. Ed è una cosa che io ho mescolato un po’ con la mia grande passione giovanile per il teatro. Non so se lo sai che io e Giancarlo Francini, il presidente nazionale di Co.Me.Te. abbiamo fatto molto tempo fa una forma particolare di lavoro dell’attore che si definiva “Terzo Teatro”. Per cinque anni abbiamo provato quasi tutte le sere ed eravamo arrivati alla soglia del professionismo. Abbiamo molto amato – almeno io, ma credo anche Giancarlo – questa esperienza. 

Perché il riferimento al teatro? Perché nel mio approccio alla mediazione amo molto quello che ci ha insegnato a fare Jacqueline Morineau con la sua mediazione umanistica. La Morineau è molto conosciuta ma non molto studiata, a mio avviso, nei nostri ambiti formativi. In quanto mediatrice umanistica ha appoggiato un suo modello di intervento nella mediazione alla tragedia greca. Basti pensare ad Ifigenia e Agamennone – so che te sei un’amante della storia e quindi ti viene bene seguirmi – e spero di rendere ciò che voglio dire. La struttura tripartita della tragedia greca che prevede una “theoria”, cioè un prologo della vicenda drammatica attraverso la narrazione dei protagonisti, una “crisis”, la fase centrale in cui i due soggetti si confrontano duramente per affrontare il proprio personale dolore, ed una “catarsi”, quando si riesce ad andare oltre il proprio vissuto soggettivo per cercare di capire il punto di vista dell’altro e trovare così una via di uscita comune al conflitto drammatico. Questo, sostiene la Morineau, serve a creare un ponte spirituale tra le persone, senza il quale è difficile trovare davvero, in profondità, una soluzione al conflitto.  In certe mediazioni, bisogna talvolta che le persone si parlino profondamente, vadano a fondo dei nodi drammatici, per trovare la catarsi, attraverso l’esposizione di sé, dei sentimenti e delle ragioni proprie ed altrui della vicenda storica. Solo in seguito possono venire le negoziazioni sugli aspetti materiali.

Ecco io talvolta mi muovo seguendo lo stesso schema tripartito della mediazione “alla Morineau” nella psicoterapia individuale o di coppia, che a sua volta richiama moltissimo, a mio avviso, il modello proposto da James Framo in “Terapia intergenerazionale”. Credo di essere tra i pochi – sinceramente non so chi altri lo faccia in Italia – di proporre in ambito psicoterapico questo modo di lavorare: sul finire di alcune terapie individuali o di coppia, predispongo insieme ai miei pazienti degli incontri lunghissimi, perfino di 5 o 6 ore, tra loro ed almeno due o tre generazioni precedenti o successive della propria famiglia. Nella theoria i familiari si presentano come i personaggi di una tragedia greca e assieme a loro il personale punto di vista sulla vicende relazionali; nella crisis è il mio paziente, che prende direttamente l’iniziativa del confronto con i propri familiari, sulla base di  una scaletta che ha predisposto, frutto del percorso psicoterapico e di un’apposita preparazione; il terapeuta è il “coro” della tragedia greca, interviene per sollecitare o per modulare la trattazione del conflitto verso la catarsi. Essa è rappresentata, ad un livello minimo, dall’esperienza diretta di essersi posto nei confronti dei propri familiari in una  relazione “da persona a persona”, come direbbe Bowen, nel definirsi rispetto al proprio personale vissuto e al desiderio di evoluzione delle relazioni disfunzionali pregresse; nel migliore dei casi, si verifica una riconciliazione, con un incontro affettivo e concettuale di superamento, catartico appunto, delle posizioni difensive o conflittuali, per accedere a quel vertice morale ed affettivo che è la comunicazione autentica.
Per esempio, Maria, quasi al termine della terapia di coppia con Carlo, viene invitata a far venire dal Veneto la sua anziana mamma di 80 anni, i suoi 2 fratelli e la figlia avuta dal primo matrimonio. Insieme al marito, che è astante partecipe ma silente, affronta una scaletta di argomenti, una sorta di partitura drammaturgica dei nodi che Rita ha affrontato nel corso della terapia, che deve trattare in una relazione diretta con la sua famiglia. Dice che loro che si è sentita in colpa per gran parte della vita per essersi occupata della propria carriera, lasciandoli in un momento di grave difficoltà dell’esercizio commerciale di famiglia. Tratta con la figlia un abbandono diverso ma comunque doloroso per entrambe, rispetto alla separazione coniugale e all’averla lasciata con il padre. I familiari contestano, correggono le versioni ma in definitiva accolgono, giustificano, perdonano.

Nella psicoterapia di coppia di Maria e del marito l’elaborazione rappresentazionale delle sofferenze originarie  compiute dai due partner, che ha nel frattempo prodotto dei cambiamenti e una crescita della coppia, viene successivamente riproposta in un’occasione esperenziale a struttura fortemente drammaturgica. L’idea è quella di dare un’occasione di svolta, simbolica, irripetibile – come sosteneva Aristotele, in un’unità di tempo di luogo e di azione – per sanare i conflitti anche nelle relazioni reali, in quelle effettivamente sperimentate, ma garantita da un contesto protetto come può essere la seduta intergenerazionale. 
Credo che questa sia una pratica certo difficile, tanto bella quanto importante, che promuove in un altro modo ancora la prassi di una terapia relazione esperenziale trigenerazionale.
 
Dott.ssa Leporatti: Grazie, si aprirebbero un mondo di riflessioni, ma abbiamo poco spazio, quindi vado alla terza domanda. Ti chiedo una riflessione, una rappresentazione, di come trigenerazionale e didattica possono stare insieme nella tua attività formativa.
 
Dott. Pappalardo: Tutti noi abbiamo ben presente quali siano gli strumenti predisposti a tal proposito. Primo fra tutti, il genogramma. Quello fotografico, che nella tua scuola e che noi a Firenze nella tradizione dell’Istituto continuiamo a proporre agli allievi, sia a quelli della mediazione che anche agli allievi del training quadriennale in psicoterapia, e quello cosiddetto storico-geografico, che questi ultimi devono anche fare, in un momento diverso della loro formazione. Ovviamente i livelli di esposizione sono un po’ diversi, perché diversa è anche la durata del training ed i livelli di esposizione dell’operatore rispetto alla natura dell’intervento. Differenti sono anche i canali psicoaffettivi coinvolti dai due strumenti. Sappiamo dalla lezione che Rodolfo ci ha lasciato come l’immagine, le fotografie del genogramma fotografico, sollecitino tantissimo il canale emotivo, anche se poi si insegna come lavorarci attraverso l’utilizzo dei dettagli della fotografia, per suggerire le ipotesi e le domande che possono essere fatte. Nel genogramma storico-geografico il lavoro è più minuzioso, certosino, rispetto alla ricostruzione delle vicende storiche di cui ti sto parlando fin dall’inizio. Ricordiamo inoltre anche gli oggetti metaforici, il collage, il blasone familiare e le altre tecniche che possono essere riconducibili dell’utilizzo del trigenerazionale nella formazione.
Ma anche in questo caso, sempre alla ricerca di cose curiose, ti voglio raccontare che sto sperimentando anche un’altra opportunità. Non so se ti ricordi che Bowen mandava i propri allievi a “riprendere il filo di remote vicende” con le proprie famiglie d’origine, con il famoso “ritorno a casa”. In America le distanze geografiche sono grandissime ed il ritorno a casa dà proprio l’idea di un lungo viaggio che prima di tutto avviene dentro di sé, dentro le proprie paure ed i propri dolori alla ricerca di un’evoluzione.  
Qui in Italia, a volte, i nostri allievi hanno la famiglia di origine al piano di sotto, però anche in questo caso si tratta di fare una sorta di viaggio reale, nella dimensione interattiva del qui ed ora.

È un po’ quello che ti sto dicendo fin dall’inizio di questa intervista, di cui tra l’altro ti ringrazio. Perché sono uno che ama leggere ma anche un tipo pratico: forse è per questa concretezza che penso che sia importante l’esperienza reale associata a quella mentale.  Così ho ripreso il ritorno a casa di Bowen e l’ho riproposto come un viaggio volontario ed esperienziale; da non confondere, sia chiaro, con la ricerca di informazioni che gli allievi collezionano per preparare il genogramma, un confronto concreto appunto da attuare  in uno stadio avanzato del processo formativo, magari in rapporto a delle difficoltà emergenti nella clinica o nelle relazioni del gruppo formativo. Devo dire che per questo utilizzo specifico solo alcuni lo hanno realizzato, facendo ad esempio delle interviste alla propria famiglia e addirittura, come nella pratica dei nostri istituti, videoregistrandole.
A volte invece è stato fatto anche solo per sottolineare ritualmente un passaggio generazionale, una sorta di testimonianza del fatto che sono diventati grandi. Infatti, spesso, i nostri allievi sono ancora in quella fase del ciclo di vita caratterizzata da quella che Williamson definì “l’intimidazione gerarchica intergenerazionale”. Mentre intervistano i familiari alla ricerca del senso di aspetti poco chiari della storia familiare – un po’ come il mio mangiare gli avanzi – nello scoprire cose che non sanno, fanno al contempo un’esperienza reale del loro porsi come soggetti di quelle stesse dinamiche che stanno indagando, cercando di farlo in una maniera autorevole e definitivamente adulta. Come se questo chiarirsi fosse una cifra stilistica – anche in questo caso possiamo dire simbolica – attestante il bisogno che il lavoro fatto attraverso gli anni della formazione venga riconosciuto quale momento emblematico, se non catartico, in cui si possa riconoscere – almeno soggettivamente ma meglio che mai a livello familiare – che quella pietra miliare sia stata concretamente, effettivamente superata dall’allievo.
Ritengo che per ora questa sia solo un’esperienza di nicchia, magari non necessaria a tutti gli allievi, però nel tempo sto raccogliendo questo materiale per rifletterci in modo più organizzato e, se sarà il caso, riproporre questa prassi in una qualche occasione congressuale o seminariale. 
 
Dott.ssa Leporatti: Allora, mille grazie a Luca Pappalardo per le tante sollecitazioni che ci ha offerto e arrivederci al prossimo.

LA FAMIGLIA E LA COPPIA NELLA PROSPETTIVA TRIGENERAZIONALE
 di Roberta Cambi

“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” 
Il noto incipit di Anna Karenina di Tolstoj ci accompagna nel parlare di famiglia, quale primo contesto sociale nel quale sperimentiamo come essere umani il contatto con l’Altro. 
Ne “Il famigliare”, Vittorio Cigoli e Eugenia Scabini descrivono la famiglia quale struttura organizzata che incontra la differenza tra i generi e le generazioni, avendo quale fine dare corso alla generatività. 
La riflessione si apre al tema della famiglia quale luogo dove si incontrano il genere maschile ed il genere femminile,  la coppia, che a sua volta rimanda alla stirpe del materno e del paterno. 
Nel passaggio tra le generazioni si tramandano i miti familiari,i  mandati e, talvolta, i segreti familiari, quel “non detto” che nel tempo passa attraverso i legami e le relazioni. L’approccio a cui fanno riferimento gli autori poggia le basi sugli aspetti del relazionale e del simbolico. 
Il relazionale è l’oggetto di osservazione nella famiglia, che nasce dall’intersoggettività delle singole persone e che si sviluppa nelle aspettative dei singoli componenti. Osservando la famiglia, si riescono a cogliere interazioni fra i vari membri e l’influenza che gli uni hanno sugli altri, così da rilevare gli scambi comunicativi fra questi e la relativa divisione di ruoli. Grazie alla conversazione e alla narrazione, si possono cogliere i significati che la famiglia dà e ha dato agli eventi che l’hanno accompagnata nel tempo: è attraverso il racconto delle sue transizioni che la famiglia si svela, ovvero è nel racconto di quei passaggi critici del ciclo di vita che emergono le strutture relazionali con i  punti di forza e di debolezza. 
Per simbolico, gli autori definiscono un elemento di congiunzione fra parti tra loro lontane, che ne permette il riconoscimento. La famiglia è matrice di simboli che, attraversando livelli relazionali interattivi, attrbuiscono significati alle vicende famigliari. Su questa matrice simbolica si articolano i due poli che costituiscono la base delle relazioni familiari, il polo affettivo ed il polo etico. Al polo affettivo appartengono fiducia e speranza, a quello etico giustizia e lealtà. 

La speranza nasce dall’antitesi del dare fiducia versus dare sfiducia, e costituisce lo slancio per andare oltre, per l’apertura fiduciosa verso qualcosa di altro da noi; il binomio fiducia-speranza permette infatti all’individuo di aprirsi alla curiosità del mondo e delle relazioni. La giustizia riguarda il bilanciamento fra crediti e meriti che si snoda fra le generazioni. Per concludere, la lealtà si riferisce al vincolo stretto tra individui appartenenti ad una stessa famiglia, in cui vi è un donatore di lealtà, un ricevente.
Gli autori aggiungono una terza polarità simbolica, il debito-dono. 
Il dono può essere pensato secondo tre prospettive: quella sociologica, nella quale il dono è il rapporto del calcolo fra costi e benefici;
quella psicodinamica transgenerazionale, nella quale il dono è frutto di uno scambio guidato dalla necessità di compiere il proprio dovere; infine, quella antropologico-sociologica, che vede il dono come nodo cruciale che conduce alla trasformazione del legame. 
Questo ultimo filone è quello sposato da Cigoli e Scabini. Essi intendono per dono l’espressione di un atto fiduciario che si compie all’inizio di un legame.
Il dono riveste un risvolto della medaglia della relazione, l’altra appartiene al debito e all’obbligo.

Un esempio può essere il legame fra genitore e figli, dove entrambe le parti sono accumunate dalla dimensione dono-debito: il figlio si trova nella condizione di debito, per aver ricevuto il dono della vita, e allo stesso tempo il genitore si trova in debito, perché egli stesso ha ricevuto la vita. In questo sistema, lo scambio si declina fra dare, ricevere e ricambiare, in cui quest’ultimo atto si intende non come modo per sdebitarsi, ma quale modalità per restituire, identificandosi col donatore, cioè donando a propria volta. 
Nella dinamica dono-debito, è importante tener conto del processo di identificazione: nello scambio e nella generatività, i genitori devono aver avuto la possibilità di identificarsi da figli con gli elementi positivi che hanno ricevuto e visto nella loro famiglia di origine; se questi elementi non ci sono stati, in terapia si può elaborare il lutto, rilanciando il legame e la speranza attraverso il perdono, verso una nuova generatività nelle generazioni successive. 
Un figlio può intraprendere un nuovo progetto generativo soltanto se è mosso dalla gratitudine e non dall’obbligo di restituire il dono alla generazione precedente. La gratitudine porta con sé un certo grado di libertà nei confronti del dono-debito: il donatore si sente libero di donare quanto vuole, non aspettandosi dall’altro un dono, che sia paritetico o migliore a quello dato (debito rovesciato o positivo).
Diventa quindi fondamentale per l’individuo, avere consapevolezza delle proprie radici e delle proprie origini: in questa prospettiva, diventa mediatore rispetto ad un insieme di esperienze ed interazioni nel legame, che agiscono su di lui in senso verticale (inter-generazionale, fra le varie generazioni) e orizzontale (intra-generazionale), quindi diventa custode di significati che sono parte sia della sua esperienza diretta, sia del patrimonio trasmesso da altri. 

In questa dimensione, diventa cruciale per la persona prendere consapevolezza di ciò che giunge dalle generazioni precedenti, quali temi la famiglia continua a portare dalla generazione dei nonni e dei genitori, quali sono i copioni relazionali che si stanno ripetendo da una generazione all’altra.
L’obiettivo è volto alla creazione di un atto riparativo e trasformativo della propria storia e della storia della famiglia. 
Nell’età adulta, nel passaggio dell’uscita da casa e nell’incontro con l’altro, si patteggia col proprio vissuto familiare in prospettiva trigenerazionale. “Uscire di casa” è un atto di responsabilità verso la propria persona e il proprio futuro, dal quale ricavare equilibrio e indipendenza emotiva. Significa non dover chiedere conferme, approvazioni alla generazione precedente, significa negoziare parti di sé e parti dell’altro (genitore) vulnerabili al cambiamento e potenzialmente esposte al tradimento di valori, convinzioni ed aspettative. Nell’incontro coniugale, ci si trova infine a vivere negoziazioni tra più parti: noi, il partner , le rispettive storie familiari e relazionali. 
Molto spesso è qui che le coppie si arenano, poiché non riescono a superare le aspettative, i miti, i mandati del proprio trigenerazionale. Spesso, la coppia pensa che il problema derivi dalla loro relazione, ma in realtà il problema deriva dai “piani alti”, da qualcosa che è avvenuto e si è sedimentato nelle trame familiari, già prima dell’esistenza della coppia. Quindi, compito del professionista nella terapia di coppia sarà quello di supportare i partner nel trovare indipendenza, nella relazione di coppia, dalle rispettive storie familiari. 

BIBLIOGRAFIA
 
Andolfi M., Angelo C., D’Atena P. (2001). La terapia narrata dalle famiglie. Una prospettiva di ricerca intergenerazionale. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Angelo, C. (1999). La scelta del partner. In Andolfi, M. (a cura di), La crisi della coppia (pp. 23-40). Milano: Raffaello Cortina.
Lev Tolstoj (Autore), Gianlorenzo Pacini (Curatore), Anna Karenina. (2013), Feltrinelli.
Cigoli V. e Scabini E. (2000). Il famigliare. Raffaello Cortina Editore.
De Bernart, R., Buralli, B. (2001). Il letto a sei piazze. Psicobiettivo: rivista quadrimestrale di psicoterapie a confronto.
Williamson, D. S. (1982). La conquista dell’autorità personale nel superamento del confine gerarchico intergenerazionale. Terapia Familiare: Rivista Interdisciplinare di Ricerca e Intervento Relazionale, 11, 77–93.

LE ATTIVITÀ DI GIUGNO E DEI PROSSIMI MESI DEL CENTRO CO.ME.TE. DI EMPOLI

WEBINAR

Vendetta e perdono. Etica dei legami
Dr. Luca Pappalardo

Il seminario è rivolto a Mediatori familiari, avvocati, psicologi, assistenti sociali, docenti e tutti coloro che lavorano nell’ambito della formazione e relazione d’aiuto.
Il proposito del seminario è quello di rendere il tema dell’etica vivo e concreto nella percezione degli allievi e degli operatori.

ONLINE
sabato 18 GIUGNO 
Orario 9-18

6 Crediti Formativi A.Co.Ge.S. e 6 Crediti Formativi AIMS

Mediazione scolastica: quando il conflitto può diventare dialogo
Dr. Lilia Andreoli

Questo webinar sulla mediazione scolastica consente di addentrarci nel complesso tema della conflittualità e di sperimentare gli elementi fondamentali di una pratica dialogica.

ONLINE
sabato 15 OTTOBRE
Orario 9-18

6 Crediti Formativi AIMS

Corsi 

Corso Mediazione Familiare Sistemica

Corso riconosciuto da AIMS (Associazione Internazionale Mediatori Sistemici), Associazione di Categoria riconosciuta dal MISE nell’ambito di quanto disposto dalla legge 4/2013, e conforme alla norma UNI 11644, approvata il 30 Agosto 2016.
Corso conforme alla legge 206/2021, comma 23 (Riforma Cartabia), in ordine alle specifiche competenze relative alla disciplina giuridica della famiglia, in materia di tutela dei minori, di violenza contro le donne e di violenza domestica.

ONLINE
30 incontri di sabato
INIZIO 17 Settembre 2022
Orario 9 -18

45 Crediti formativi CNOAS;
34 Crediti formativi A.Co.Ge.S.;
20 Crediti formativi per Avvocati del Consiglio Nazionale Forense

Bullismo e Cyberbullismo: conoscenza, intervento e profili giuridici 

Il Corso si propone di fornire gli strumenti idonei a riconoscere gli episodi di bullismo e cyberbullismo e a prevenirli. Durante le lezioni verranno esaminate le strategie di intervento nei casi di bullismo di tipo pregiudiziale e nelle situazioni di emergenza, nonché le forme di tutela introdotte dal Legislatore e le conseguenze, sia penali che civili, che possono derivare dagli atti di bullismo e cyberbullismo.

ONLINE
3 incontri di sabato
INIZIO 1 OTTOBRE

Orario 9 -18

24 crediti formativi CNOAS per Assistenti Sociali;
18 crediti formativi AIMS per Mediatori Familiari;
18 crediti formativi A.Co.Ge.S.;
15 crediti formativi del Consiglio Nazionale Forense per Avvocati.

Supervisione per Coordinatore Genitoriale

La Supervisione per coordinatore Genitoriale è un metodo di lavoro di gruppo che ha lo scopo di supportare il coordinatore genitoriale nella sua funzione, sostenendolo nell’analisi del caso complesso che ha in carico. Il lavoro di supervisione è centrato sulla persona, sia essa professionista o coppia genitoriale, è uno spazio fisico e di pensiero nel quale l’obiettivo non è correggere o giudicarte l’operato del professionista, ma sostenerlo nella comprensione della situazione complessa che è chiamato a gestire.

ONLINE
INIZIO sabato 3 OTTOBRE
Orario 9-18

9 Crediti Formativi A.Co.Ge.S

Corso per operatori psicosociali e del diritto – Gestione e tutela dei figli nel divorzio 

Il Corso analizza e tratta il conflitto della coppia genitoriale e la tutela dei figli nelle situazioni di separazione e divorzio secondo la riforma Cartabia e offre specifica formazione sulla disciplina giuridica della famiglia, tutela dei minori, violenza contro le donne e violenza domestica.

ONLINE
INIZIO sabato 7 OTTOBRE
Orario 9-18

10 Crediti Formativi Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali;
5 Crediti Formativi Consiglio Nazionale Forense;
8 Crediti Formativi AIMS;
8 Crediti Formativi ACOGES