Questo numero 2 della Newsletter CometeNews è dedicato al bellissimo ricordo di una data molto importante, il 18 Ottobre 1996, giorno nel quale ha visto la luce l’Istituto di Terapia Familiare – Centro Co.Me.Te. di Empoli.

L’Istituto nasce all’interno dell’Associazione Culturale Co.Me.Te., che dagli anni 2000 è associazione di promozione sociale, iscritta negli albi della Provincia di Firenze.
L’Associazione Culturale Co.Me.Te. è una grande famiglia, numerosi sono i centri Co.Me.Te in tutta la Toscana e in molte regioni in Italia. I primi centri Co.Me.Te, nati all’interno dell’associazione, sono stai il Centro Co.Me.Te di Empoli e il Centro Co.Me.Te di Firenze.

Ad oggi il Centro Co.Me.Te di Empoli è anche Agenzia Formativa accreditata Regione Toscana e centro sanitario autorizzato dal Comune e accreditato Regione Toscana per le diagnosi DSA.

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I nostri 25 anni – 18 OTTOBRE 1996 – 18 OTTOBRE 2021 – Intervista a Conny Leporatti

Conny, innanzitutto perché il nome Comete? Che cosa vuol dire?

“È molto semplice, nel 1996 abbiamo pensato di giocare con i nomi delle aree di pertinenza della nostra associazione. Consulenza – Co., Mediazione – Me., Terapia – Te.”


Ti ricordi come tutto è cominciato?

“A ripensarci sembra una vita fa, sia per quanto è cresciuta l’associazione in tutta Italia, sia per come è cresciuto il nostro centro, ma soprattutto il mondo intorno a noi. All’epoca eravamo sei professionisti, cinque giovani psicologi e un medico psichiatra, già famoso, il Professor Rodolfo De Bernart. Avevamo un grande sogno: accogliere i bisogni della famiglia, che, nella nostra pratica professionale e negli anni di esperienza, avevamo visto sempre più da vicino. Il nostro impegno si è protratto negli anni, fino ad arrivare al nuovo millennio, ed alla “società liquida”, così come la chiamava Bauman, ovvero una società complessa dove i legami sono fluidi e dove l’instabilità e l’ambivalenza sono le parole d’ordine”.

In che modo volevate colmare i bisogni della famiglia?

“Stare a fianco delle famiglie e minori applicando il nostro approccio alla famiglia, l’approccio sistemico relazionale, promuovendo la cultura sistemica e intervenendo, con lo sguardo a 360°, sui bisogni che la famiglia aveva, sia in riferimento agli ascendenti, ovvero alle famiglie di entrambi i genitori, sia in riferimento ai minori. Le tematiche del nostro lavoro riguardavano la sofferenza psichica, ma anche il conflitto familiare ed ereditario o in tutte le situazioni nelle quali la famiglia e i minori incontravano la giustizia. Eravamo dei pionieri, all’epoca, in Italia, poiché da poco si era fatta strada la terapia familiare e la famiglia non veniva considerata un sistema, sia nell’approccio alla sofferenza psichica, sia nell’approccio al conflitto o all’ambito giuridico”.
Il processo civile, come quello penale, allora doveva essere molto diverso per le famiglie italiane…
“Certamente, già negli anni ’70 con la riforma del diritto di famiglia era iniziato un processo evolutivo che da allora non si è mai arrestato, ma ricordo bene che quando abbiamo iniziato, per esempio, il Consulente Tecnico d’Ufficio, che è la figura che si occupa, su incarico del giudice, delle tematiche che attengono la famiglia e minori, non convocava mai i genitori insieme. Spesso il Consulente Tecnico d’Ufficio parlava con ciascun genitore separatamente, non essendo così in grado di valutare la qualità della relazione che esisteva tra i due genitori e frequentemente non incontrava il minore, né vedeva i genitori insieme ai
figli”.
Come veniva presa quindi la decisione, ad esempio, per un affido, durante una separazione?
“Solitamente all’epoca si seguiva il criterio del “miglior genitore”. In tal senso, il miglior genitore veniva spesso individuato nella madre ed il padre veniva spesso posto in secondo piano. Nel tempo abbiamo contribuito ad inserire criteri diversi nella valutazione della scelta più opportuna per la famiglia che si separa. Abbiamo parlato di autentico desiderio del minore, ovvero del suo bisogno di accedere ad entrambi i genitori. Abbiamo parlato di criterio dell’accesso, ovvero il miglior genitore è il genitore che consente un accesso adeguato dei propri figli all’altro genitore e dell’altro genitore ai figli. Abbiamo introdotto il criterio della bigenitorialità, ovvero la capacità di ciascun genitore di consentire all’altro di assumere decisioni congiuntamente, nell’esclusivo interesse dei figli”.
Diciamo pure che, un tempo, in una situazione conflittuale, anziché offrire soluzioni, si rischiava di accendere ancora di più il conflitto… “Esattamente, ciò che noi abbiamo sempre cercato di promuovere è stato appunto il criterio dell’accesso e della bigenitorialità. Si è genitori sempre, anche dopo la separazione e il divorzio, ed i figli devono poter contare, nel modo più armonioso possibile, sul supporto di entrambi i genitori, che si parlano tra loro ed assumono decisioni condivise”.
Un sistema quindi.
“Un sistema, ripeto, un sistema che interagisce con tutti i sistemi allargati, che si avvale dei benefici che la rete offre, anche in caso di famiglie allargate, ma anche nell’accesso agli ascendenti – i nonni appunto – e a tutti coloro i quali hanno da sempre costituito l’universo relazionale della famiglia”.
Siete stati ascoltati?
“Direi di sì, è stato un lavoro complesso, ma non eravamo da soli. Abbiamo lavorato negli anni a stretto contatto con l’Università Cattolica di Milano, in particolar modo con il Professor Vittorio Cigoli e la Professoressa Eugenia Scabini. Abbiamo offerto un contributo costante negli incarichi ricevuti dal tribunale ed abbiamo contribuito ad offrire un modello diverso di effettuare valutazioni delle idoneità genitoriali e ad assumere decisioni nell’esclusivo interesse dei minori”.
Che rapporto c’è tra Co.Me.Te di Empoli, e tutti gli altri centri Co.Me.Te nel territorio nazionale?
“L’Associazione Culturale Co.Me.Te. non è un franchising, come dico spesso. Si aderisce all’Associazione Culturale Co.MeTe. condividendone la mission – occuparci di famiglie e minori in tutte le situazioni nelle quali essi incontrano la sofferenza psichica, il conflitto, oppure la giustizia. L’approccio di tutti i centri Co.Me.Te. è un approccio sistemico relazionale, con la presa in carico della famiglia a 360°. Annualmente l’Associazione Culturale Co.Me.Te. organizza assemblee aperte a tutti i soci e periodicamente promuove la formazione utilizzando le best practices che ha sperimentato e posto in atto nei centri d’eccellenza che la caratterizzano”.
Ed è da queste best practices che poi nascono anche i progetti di formazione?
“Assolutamente sì, la formazione segue i percorsi di lavoro e di ricerca-azione costante che animano i centri Co.Me.Te. e il confronto continuo tra gli operatori dei centri”.
Puoi citare qualcuno dei bisogni sui quali più spesso intervenite?
“Molto del nostro lavoro è legato alla situazione odierna. La dipendenza dai social, ad esempio, oppure la ludopatia, o sofferenza da pandemia. Lavoriamo molto anche sulla genitorialità nel terzo millennio”.
Genitori del terzo millennio e coppie del terzo millennio, realtà sempre più complesse…
“Decisamente sì, la situazione è sempre più complessa e non serve semplificare la complessità, ma comprenderla ed integrarla nel proprio pensiero e nelle nostre azioni.
Proprio in questo periodo stiamo organizzando un corso per coppie in procinto di sposarsi o di andare a convivere… giusto un supporto, in base alla nostra esperienza delle situazioni di crisi di coppia e… un modo di lavorare per prevenire”.
Non vi fermate mai.
“Il segreto è non smettere mai di progettare e, soprattutto, di sognare”.

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