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Ambarabacciccicoccò

 

I bambini nelle sedute di mediazione familiare

di Conny Leporatti

Psicologa Psicoterapeuta

Mediatore Familiare
Istituto di Terapia Familiare di Firenze
Per poter trattare della tematica relativa al coinvolgimento dei bambini nelle sedute di mediazione familiare credo sia essenziale muovere dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia (Nazioni Unite), che all’articolo 12 dispone: Gli stati parti della presente convenzione devono assicurare al bambino capace di formarsi una propria opinione il diritto di esprimerla liberamente e in qualsiasi materia, dovendosi dare alle opinioni del bambino il giusto peso relativamente alla sua età e maturità. A tale scopo, in tutti i procedimenti giuridici o amministrativi che coinvolgono un bambino deve essere offerta l’occasione affinché il bambino venga udito direttamente o indirettamente per mezzo di un rappresentante o di una apposita istituzione […].
Se dobbiamo infatti ricordare che la legislazione italiana prevede svariate situazioni in cui si richiede al minore di esprimere il proprio parere in relazione alla tutela e alla salvaguardia dei propri diritti- nello specifico mi riferisco ai casi di adozione o affidamenti, in caso di presunto abbandono, così come in ambito penale-, dobbiamo però precisare che, fino a poco tempo fa, non era prevista l’audizione del minore nei procedimenti il cui intento fosse la definizione delle modalità di affido nella separazione e/o nel divorzio. Oggi invece, come è noto, con la Legge 08.02.2006 n. 54 -entrata in rigore il 16 marzo 2006- il legislatore ha inteso rimodellare la disciplina dell’affidamento dei figli in materia di separazione. In precedenza, infatti, l’ascolto dei figli minorenni da parte del Giudice non era contemplato nelle norme sulla separazione, ma era stato introdotto dalla legge sul divorzio, nella quale era previsto che il Presidente li sentisse, ove lo ritenesse “strettamente necessario, anche in considerazione della loro età”. Il nuovo art. 155 sexies prevede invece l’ascolto del minore come uno degli adempimenti del Giudice, che “dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni e anche di età inferiore ove capace di discernimento”(1). Dalla tassativa indicazione della norma, si desume in generale l’esistenza di un obbligo del Giudice di ascoltare i figli minorenni, escluso solo dalla mancanza della capacità di discernimento per chi abbia meno di dodici anni, da valutarsi da parte del Giudice assistito da un ausiliare esperto o se necessario da un CTU. Le modalità psicologicamente corrette dell’ascolto sono state delineate nel 155 sexies in un assetto emotivo dell’adulto “empatico e supportivo” fortemente rispettoso del minorenne ma “libero da affettuosità dolciastre, infantilismi o seduzioni che possono indebolirlo e rendere più difficoltoso il suo comunicare”.

 

Dal punto di vista processuale,l’ascolto del figlio minorenne non può essere assimilato ad un mezzo di prova: infatti non è finalizzato ad acquisire elementi istruttori, bensì a garantire al minore il suo diritto ad esprimere i suoi bisogni ed i suoi desideri ed insieme il suo diritto ad essere informato dal giudice sui termini della controversia in cui è coinvolto in modo che venga limitata la confusione che può derivare da informazioni parziali ed interessate, fornite dai genitori in lite fra loro. Il minore non è testimone nel processo ed il Giudice non può interrogarlo su fatti specifici riguardanti la vita familiare: se non fosse così il diritto ad essere ascoltato ed informato su quanto gli sta accadendo si tradurrebbe in un dovere di testimonianza contraddittorio con la qualità di soggetto massimamente interessato ad ogni decisione che lo concerne e quindi sostanzialmente parte del giudizio stesso. La Corte Costituzionale (30.01.2002 n.1) ha affermato infatti che “il minore si configura come “parte” del procedimento con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 CPC” desumendolo sia dall’art. 12 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (New York, 1989) resa esecutiva con la legge 27.05.91 n. 176 sia dalle previsioni della legge n. 149/2001 che, per quanto non ancora rese esecutive, gli attribuiscono la posizione di parte con diritto di difesa(2). A mio avviso l’attuale nuova situazione interroga in modo diretto tutti gli esperti che si occupano di mediazione familiare, poiché lo scenario giuridico si è ribaltato ed il minore ha oggi ancor più di prima diritto di parola. Occorre domandarsi infatti se, sul piano della mediazione, il mediatore familiare debba consentire al bambino di esprimere le proprie opinioni. Ed in tal caso, in che modo. Inoltre, come evitare di correre il rischio che nel contesto di mediazione le opinioni del minore vengano modellate secondo la logica che vede i genitori impegnati nel conflitto. Ed infine, come possiamo impedire che l’ascolto dei bambini si traduca in un ulteriore momento di sofferenza e sopraffazione. Ritengo che, al fine di tutelare e promuovere i diritti del bambino, i mediatori familiari debbano rispondere a queste domande per realizzare concretamente quanto espresso dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia dell’ONU.
Il dibattito su questo argomento d’altronde, in Italia ha da sempre visto le diverse Associazioni di Mediatori familiari assumere posizioni molto diverse, evidenziando in alcuni casi differenze anche tra i membri di una stessa organizzazione. Esistono mediatori che non incontrano mai i minori, neanche se a chiederlo sono gli stessi genitori (3). A giustificare una simile scelta, essi pongono l’esigenza di salvaguardare i bambini dal conflitto in atto tra i genitori. In altre parole, la scelta operata di potenziare le capacità genitoriali, privilegiando la sola partecipazione degli adulti alla mediazione, si basa sulla presa di coscienza di quanto il contatto con le istituzioni ed i servizi impegnati nei processi di separazione rappresenti per il bambino un’esperienza frustrante e violenta, accentuata dalla mancanza di quel filtro naturale che viene fornito dagli adulti ai bambini in tutti gli altri contesti.
In mediazioni di questo tipo, la rappresentazione del bambino si effettua attraverso i racconti dei genitori, che, sulla base della propria rappresentazione dei figli, consentono al mediatore di assumere su di sé la rappresentazione del bambino, permettendogli in questo modo di riportare l’attenzione dei genitori sul minore, rappresentandogliene i bisogni. Dalla parte opposta si pone, invece, la posizione di tutti coloro che sostengono il necessario coinvolgimento dei bambini in sede di mediazione familiare (4). Questi mediatori ritengono, in contrapposizione con la posizione precedente, che le uniche situazioni in cui possa ritenersi non necessaria la partecipazione dei minori, siano quelle in cui il grado di conflittualità tra i genitori è minimo e conseguentemente le descrizioni che essi fanno di bisogni e caratteristiche dei propri figli è simile. È facilmente intuibile che, questa tipologia di genitori ha spesso idee concordi sul tipo di accordo che può risultare utile per loro, e che risulta altamente improbabile che venga fatta richiesta di intervento esterno. In tutti gli altri casi, si ritiene che la mediazione sia luogo di necessario coinvolgimento dei figli, poiché rappresenta la dimensione in cui anch’essi possono far emergere i propri bisogni, desideri, preoccupazioni o paure; in cui possono negoziare essi stessi con i propri genitori; in cui ricevere un quadro realistico di ciò che sta accadendo alla propria famiglia, andando al di là delle informazioni confuse e contraddittorie che spesso vengono fornite dai genitori. Inoltre, la partecipazione del bambino e il suo ascolto, rappresenta un potente mezzo di spostamento dell’attenzione dal conflitto coniugale ai bisogni del bambino stesso. Ed infine, la presenza del minore può aiutare e facilitare il raggiungimento degli obiettivi della mediazione, dal momento che consente al minore stesso di poter assistere agli sforzi di collaborazione attuati dai genitori, consentendo di rafforzare l’idea di una sorta di sopravvivenza del sottosistema genitoriale e riducendo il più possibile l’eventualità che al minore arrivino informazioni contraddittorie o incongrue. Io condivido pienamente le considerazione che vengono espresse dai mediatori che supportano la presenza del minore in mediazione, ed in particolar modo la presenza degli adolescenti, la cui partecipazione è indispensabile per un buon esito del lavoro di mediazione. Inoltre la mia esperienza come terapeuta familiare in ottica sistemico-relazionale mi permette di aggiungere ulteriori riflessioni a quelle già delineate. Ritengo, infatti, che sia da considerarsi alquanto ingenua l’ipotesi che un bambino tenuto fuori da una pratica di mediazione familiare possa essere preservato dalla conflittualità in atto tra i propri genitori. I bambini non sono estranei a quanto accade intorno a loro e non possono, di conseguenza, essere considerati come degli spettatori passivi di ciò che avviene nella loro famiglia. Tutt’altro, i bambini nelle situazioni di conflitto coniugale giocano ruoli estremamente attivi. Alcune volte capita che tentino, attraverso affermazioni o comportamenti sintomatici, di modificare la situazione in atto; altre che provino a proteggere il genitore che ai loro occhi appare più fragile, cercando di contenere le loro angosce collegate alla separazione e alla perdita. Inoltre, coloro che sostengono l’assenza del bambino in fase di mediazione, assegnano un ruolo estremamente rilevante alle rappresentazioni che i genitori hanno dei propri figli. Questa capacità di rappresentazione presuppone che i genitori siano competenti in relazione ai propri figli, competenza che, tuttavia, per quanto stimolata, potrebbe essere inficiata dalle condizioni conflittuali in cui i genitori si trovano. È indicato, difatti, da grande parte della letteratura in materia, che una situazione di separazione/divorzio porta con sé una serie di conseguenze negative, dalle crisi di identità, alle ferite narcisistiche o alle angosce di perdita, che rendono assai complicato poter esibire con chiarezza le proprie competenze. Ritengo, tuttavia, che il tentativo di stimolazione nei genitori di competenze genitoriali non significhi negare i gravi rischi o i gravi danni che possono essere provocati da alcuni comportamenti dei genitori verso i propri figli.
Inoltre, ritengo che la non partecipazione dei minori alla mediazione familiare, più che preservare gli stessi dalla conflittualità, incrementi il rischio che questi ricevano informazioni

 

errate e deformate su quanto sta accadendo alla propria famiglia da parte di terze persone o,

 

altrimenti, che tentino di riempire il vuoto di informazione e di relazione con le proprie

 

fantasie. Ugualmente, il rischio che il mediatore venga triangolato dalla coppia dei genitori, a

 

mio avviso, non si può escludere escludendo il bambino dalla mediazione e lasciando che il

 

mediatore assuma il ruolo di protettore del minore verso i genitori.

 

Dal mio punto di vista la questione non consiste nell’ antitesi tra bambini presenti alla

 

mediazione versus bambini non presenti alla mediazione, quanto nella modalità con cui i

 

bambini possono partecipare alle sedute di mediazione e con quale scopo vi partecipino.

 

ASCOLTARE IL MINORE VERSUS DARE VOCE AL MINORE

 

Accade spesso che in situazioni di conflittualità familiare, i minori, seppur assumendo

 

in apparenza posizioni che possono risultare chiare, definite e giustificabili razionalmente

 

verso la situazione stessa, in realtà stiano veicolando messaggi molto più complessi. Questo

 

accade perché in simili situazioni la differenza tra ciò che viene detto apertamente ed il

 

messaggio nascosto può apparire con più incisività. Caso tipico sono quei minori che, sebbene

 

ostentino atteggiamenti di rabbia o di rifiuto, in realtà esprimono delle vere e proprie

 

dichiarazioni di sofferenza e di impotenza. Ciò comporta, in alcuni casi, dover accettare

 

l’impotenza del minore o appoggiare l’atteggiamento di difesa esibito, per poter assecondare

 

la richiesta del minore stesso. Conseguenza di tutto ciò risulta essere il fatto che la presenza

 

dei bambini alle sedute di mediazione familiare non corrisponde al richiedergli un parere sui

 

propri genitori, o su quale dei due sia la persona con cui preferiscono vivere. La presenza dei

 

bambini in mediazione, a mio avviso, dovrebbe essere quindi finalizzata all’apprendimento da

 

parte dei genitori della situazione psicologica dei figli, al fine di poter svolgere il ruolo al

 

quale sono chiamati. In questo modo si eviterebbe la classica dicotomia tra il genitore che

 

sostiene le affermazioni del bambino, e il genitore che invece evidenzia il fatto che il bambino

 

è strumentalizzato.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

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Noi mediatori AIMS abbiamo scelto di convocare i bambini al fine di fare emergere i

 

bisogni ed i vissuti dei bambini in relazione alla competenza genitoriale. Il nostro ruolo

 

consiste nell’aiutare entrambi i genitori a far emergere i motivi reali che li hanno condotti alla

 

separazione, per fare arrivare ai bambini informazioni corrette e che non lascino spazio a

 

dubbi e sensi di colpa. Non si tratta, quindi, di una sostituzione mediatore- genitori quanto di

 

un percorso congiunto che permetta di compiere le proprie scelte genitoriali tenendo conto dei

 

bisogni dei figli: in quest’ottica il mediatore deve essere colui che accompagna e orienta.

 

Questa strategia dovrebbe consentire un allentamento delle difese con la sensazione, nei

 

genitori, che ogni decisione sia presa personalmente. Allentamento che ha tra le varie

 

conseguenze positive quella di facilitare la negoziazione facendo emergere, attraverso la

 

valorizzazione da parte del mediatore delle osservazione di ogni genitore, un ventaglio di

 

possibilità di azione scaturito dal percorso conoscitivo incentrato sui propri figli.

 

IL DISEGNO CONGIUNTO E IL LAUSANNE TRIADIC PLAY NELLA MEDIAZIONE

 

FAMILIARE

 

Occorre domandarci quali siano le modalità più adatte per permettere ai mediatori di

 

comprendere ciò che i bambini stanno esprimendo.

 

Nelle esperienze portate avanti nel Centro Co.Me.Te. di Empoli, ho cercato di escludere

 

quelle modalità che prediligono l’uso delle parole, a favore di quelle tecniche che privilegiano

 

invece l’uso delle immagini e il comportamento non verbale, poiché ho ritenuto che le parole

 

fossero più facilmente manipolabili e utilizzabili all’interno del conflitto genitoriale.

 

In linea di massima la mia scelta si è orientata verso la tecnica del disegno congiunto,

 

tecnica utilizzata da Cigoli, Galimberti e Mombelli in ambito peritale, e adeguatamente

 

modificata in sede di mediazione.

 

Si chiede alla famiglia di realizzare insieme un disegno che rappresenti tutto il nucleo,

 

così come appare allo stato attuale, durante il compimento di una attività. Ognuno può

 

disegnare il personaggio che preferisce, sé stesso o gli altri, ed in qualsiasi posizione del

 

foglio. L’unica limitazione prevista è quella relativa al fatto che ogni membro impegnato nel

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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disegno durante il disegno stesso utilizzi sempre il medesimo colore, in modo da poter

 

consentire successivamente, al mediatore, una facile identificazione, attraverso il tratto di

 

colore, dell’ideatore.

 

Una variante alla tecnica è stata introdotta da Rodolfo de Bernart mediante l’utilizzoper

 

la realizzazione del disegno congiunto- della lavagna cancellabile(5)

 

Il vantaggio è quello di assistere ad eventuali cancellature e soprammissioni del disegno

 

in corso d’opera.

 

Per contro, al momento della presentazione dell’elaborato ai genitori per i loro

 

commenti ed estrapolazioni, mentre il disegno congiunto prodotto sul cartaceo è facilmente

 

esibibile, il disegno su lavagna cancellabile deve essere riproposto mediante la videoregistrazione

 

effettuata della seduta di mediazione oppure mediante foto digitale del prodotto

 

finito.

 

In ogni caso la tecnica ideata da Bing nel 1970, ci permette da un lato di individuare

 

-attraverso l’osservazione effettuata per mezzo della videoregistrazione – le interazioni

 

familiari esistenti dovute al fatto che i membri si trovano all’interno della stessa stanza,

 

permettendo così la coesistenza, seppur per mezzo di un artificio, di punti di vista diversi, così

 

solitamente temuta, ma anche desiderata dai figli; dall’altro di analizzare il contenuto

 

simbolico del disegno stesso.

 

Alle due finalità sopraelencate si va ad aggiungere un ulteriore scopo rappresentato dal

 

tentativo di riuscire a far lavorare tutti i componenti del nucleo familiare su di un unico

 

obiettivo specifico e per un tempo determinato, condizione questa che le famiglie in conflitto

 

ritengono di aver perduto da tempo, recuperata in questa particolare dimensione.

 

L’analisi effettuata dai genitori nella seduta successiva sul disegno realizzato con i

 

bambini nella seduta precedente, riprendendo i presupposti della tecnica originale, si basa per

 

quanto riguarda le interazioni ravvisabili durante l’esecuzione, sulle considerazioni relative ai

 

comportamenti di distanza- vicinanza, all’accessibilità all’altro, alla cooperatività, al ruolo

 

agito da ciascuno; in relazione invece alle analisi dei significati simbolici del disegno, le

 

considerazioni effettuate traggono origine dal contenuto della realizzazione e dalle

 

suggestioni che gli elementi disegnati dai singoli sono in grado di generare nel consulente.

 

Infine, estremamente rilevante è l’analisi del modo in cui il disegno appare disposto nello

 

spazio a disposizione. Lo spazio consiste in un unico grande foglio bianco oppure ,come

 

accade presso l’Istituto di Terapia Familiare di Firenze ed il Centro Co.Me.Te di Empoli, in

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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una lavagna – modalità privilegiata in quanto capace di valorizzare l’importanza di eventuali

 

cancellature analizzabili attraverso la videoregistrazione dell’esecuzione ,che viene

 

successivamente sottoposta ai genitori –, sia che i membri decidano di realizzare lo stesso

 

disegno, sia che, al contrario, optino per realizzarne ciascuno uno proprio. L’importanza di

 

questo tipo di analisi consiste nell’elevata significatività che ha l’atteggiamento dei singoli

 

membri della famiglia, atteggiamento che essi possono realizzare nella propria porzione nel

 

foglio, allontanandosi o avvicinandosi ad un altro membro, estendendo il disegno fino a

 

sfiorare il disegno dell’altro, o, addirittura, intervenendo sul disegno altrui.

 

In sede di mediazione, a tutto ciò si aggiunge l’interesse che la produzione di materiale

 

familiare ha, nel tentativo, da parte dei genitori, di interrogarsi sui bisogni e sulle esigenze dei

 

figli. In quest’ottica, in sede di mediazione, l’analisi effettuata sul disegno e le relative

 

interpretazioni sono ad opera dei genitori, il mediatore rappresenta la guida che conduce alla

 

formulazione di ipotesi che, in un secondo tempo, potranno supportare le scelte dei genitori.

 

Altro metodo di indagine è il Gioco triadico di Losanna, elaborato da Elizabeth Fivaz-

 

Depeursinge e Antoinette Corboz-Warnery .

 

Le autrici sono partite dall’idea che non fosse sufficiente ricostruire la famiglia

 

muovendo dalle sole componenti diadiche, motivo questo che le ha portate alla decisione di

 

osservare la famiglia come insieme, vale a dire come unità, sviluppando in questo modo il

 

“gioco triadico di Losanna” (LTP, Lausanne Triadic Play).

 

La prova, che può essere effettivamente considerata un “gioco familiare”, si costituisce

 

di quattro parti, che ripercorrono una traccia narrativa muovendo da una configurazione del

 

tipo “due più uno/due”:

 

1) la madre e il bambino/i che giocano insieme, ed il padre in una posizione

 

periferica;

 

2) il padre e il bambino/i che giocano insieme, e la madre in disparte;

 

3) i tre/quattro partner, padre, madre e bambino/i che giocano insieme;

 

4) il bambino/i in posizione periferica, mentre i due genitori parlano insieme.

 

L’analisi del compito richiesto durante il gioco familiare e le traiettorie della sua

 

“processualità” sono la chiara dimostrazione che i partner, se vogliono raggiungere lo scopo

 

del gioco, devono “lavorare insieme”, come una squadra. È facilmente comprensibile come vi

 

potranno essere molte variazioni e combinazioni che potrebbero discostare da quest’obiettivo

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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gruppale, sia considerato nel suo insieme – vale a dire come gruppo collaborativo o meno, o

 

addirittura disorganizzato -, sia rispetto alle numerose variazioni nei vari passaggi.

 

Per tradizione sistemica il nodo centrale del comportamento umano sono i processi di

 

interazione sociale che assicurano stabilità e coerenza, e i meccanismi attraverso i quali i

 

processi si modificano in risposta alle sfide evolutive previste e alle crisi inattese (6).

 

Pertanto se la domanda che possiamo porci nella clinica è se e come il/i bambino/i

 

sia/no in grado di gestire i quattro triangoli presenti nell’ interazione con i genitori all’interno

 

del gioco familiare costruito dalla situazione sperimentale, e come i genitori facilitino o no

 

questo processo, in mediazione la domanda sarà analoga ma non in chiave diagnostica, bensì

 

in chiave di produzione di materiale familiare che serve ai genitori per interrogarsi sui bisogni

 

e le necessità dei figli. Non è quindi “interpretazione” –come avviene in ambito clinico- ma

 

guida da parte del mediatore che, rivolto ai genitori, li stimolerà a formulare ipotesi che poi

 

potranno supportare le loro scelte in funzione dei bisogni dei figli.

 

Il LTP è comunque una tecnica nata in un contesto di ricerca e recentemente applicata

 

in via sperimentale al contesto delle consulenze tecniche d’ufficio ed alla mediazione.

 

Una sintesi delle tecniche sviluppate nei contesti di mediazione e già ampliamente

 

sperimentata, sia in contesti di CTU che di mediazione è il “pacchetto interattivo” messo a

 

punto da Rodolfo de Bernart (7) e comprendente la richiesta alla famiglia di effettuare, in

 

successione e sequenzialità:

 

– gioco: si chiede ai genitori di giocare a turno, sia l’uno che l’altro con il/i

 

bambino/i. a differenza del LTP, i genitori non sono presenti entrambi nella stanza con il/i

 

bambino/i ma sono presenti a turno;

 

– progetto: si chiede ai genitori, a turno, di elaborare un progetto di qualcosa da

 

fare insieme al/i proprio/i figlio/i, appunto “come genitori e figli”. Anche qui, a differenza del

 

LTP i genitori sono presenti a turno nella stanza; mentre l’uno elabora il progetto con il/i

 

bambino/i, l’altro è in sala d’attesa;

 

– disegno congiunto: le indicazioni sono quelle già presentate, con la variante

 

dell’uso della lavagna cancellabile anziché del cartaceo.

 

In ogni caso, la tecnica utilizzata per il coinvolgimento dei bambini nella mediazione

 

familiare – al di là dello strumento specifico, sia esso Disegno congiunto, Lausanne Triadic

 

Play o Pacchetto interattivo- prevede quattro fasi:

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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1. preparazione dell’incontro con i bambini: finalità e necessità, modalità

 

dell’incontro (il disegno congiunto, il LTP o il pacchetto interattivo), cosa dire

 

ai bambini;

 

2. l’incontro con tutta la famiglia: colloquio con i bambini, il disegno congiunto,

 

il LTP o il pacchetto interattivo, breve commento;

 

3. l’analisi dell’/degli elaborato/i prodotto/i nella seduta precedente da genitori e

 

figli insieme, con i soli genitori;

 

4. alla fine della mediazione, quando la fiducia nel mediatore sembra essersi

 

rinsaldata, i genitori comunicano ai bambini le loro decisioni.

 

Nell’incontro con i figli, si parla in modo esplicito della separazione e si chiede ai

 

bambini che cosa essi conoscano della stessa e della mediazione familiare.

 

Prima di tale incontro genitori e mediatore si preoccupano di stabilire quali argomenti

 

trattare e in che maniera, molto spesso è proprio in tale sede, in mediazione, che i genitori

 

comunicano per la prima volta in modo chiaro ai bambini che cosa sta succedendo tra di loro.

 

Alcuni mediatori forniscono ai genitori indicazioni precise su cosa dire e cosa tacere ai

 

figli in relazione all’età degli stessi. Personalmente preferisco fare riferimento al setting della

 

mediazione aiutando i genitori a decidere che cosa dire ai figli ed in che modo dirlo. Le

 

informazioni riguardano:

 

a. la separazione dei genitori, ovvero fornire informazioni circa le motivazioni, siano

 

queste comuni ad entrambi o, in caso contrario, fornendo i due diversi punti di vista;

 

b. il motivo dell’incontro di mediazione familiare, vale a dire spiegare che la richiesta

 

di aiuto da parte di un esperto è finalizzata a gestire la separazione tenendo conto

 

dell’interesse dei figli.

 

Durante l’incontro si chiede poi ai bambini che cosa abbiano capito di quanto detto. Nel

 

caso in cui il mediatore percepisse incertezze o confusione in ciò che viene riportato, verrà

 

dedicato un po’ più di tempo durante l’incontro ad eventuali chiarimenti da parte dei genitori.

 

Si passa poi alla realizzazione del disegno o del LTP, per procedere infine con un colloquio

 

nel quale si indaga cosa e come è stato rappresentato o che cosa è avvenuto. Concludendo, si

 

chiariscono ulteriormente con i genitori le finalità della mediazione, e si stabilisce un

 

appuntamento per i bambini in cui spiegar loro le decisioni prese dai genitori alla fine del

 

Conny Leporatti

 

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processo di mediazione. L’incontro che segue avviene alla sola presenza dei genitori, e

 

rappresenta il momento più importante della tecnica, rappresenta l’analisi condotta insieme,

 

poiché è il momento in cui si orientano i genitori verso le tematiche rilevanti per i propri figli.

 

Possiamo affermare che l’abilità del mediatore risiede nella capacità di mantenersi

 

fedele alle finalità della mediazione, nel non sostituirsi ai genitori nell’analisi del disegno o

 

delle interazioni, ma anzi nel creare un contesto in cui questi siano impegnati nel compito

 

comune della ricerca di significati. Tecnicamente ciò che viene richiesto da parte del

 

mediatore è relativo a quali siano gli aspetti e le modalità del disegno o quali siano gli aspetti

 

e le modalità delle interazioni realizzate dai propri figli che maggiormente colpiscono la loro

 

attenzione, guidandoli attraverso le interpretazioni e le ipotesi avanzate verso una riflessione

 

relativa ai bisogni dei bambini. Risultato finale sarà un ventaglio di conoscenze attribuibili

 

alla coppia di genitori e non ai singoli, utili nel momento delle scelte. Infine il mediatore

 

attuerà la sintesi delle considerazioni emerse, evidenziando le eventuali arie di rischio e le

 

risorse, incitando i genitori a tenerle in considerazione al momento della ratifica degli accordi.

 

DUE CASI DI MEDIAZIONE

 

Primo caso: Simone e Gabriella:

 

Simone, 35 anni, commerciante, e Gabriella, 34 anni, impiegata, si presentano per

 

chiedere una mediazione familiare in fase di separazione.

 

È Simone che prende l’appuntamento ed è lui che desidera fortemente e subito la

 

separazione, nonostante non ci siano altre storie affettive in corso.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

Fin dall’analisi della domanda, appare come per Gabriella “l’orologio della

 

separazione” sia indietro anni – luce rispetto alla posizione di Simone.

 

La coppia ha due figli, Elisa, 9 anni, ed Edoardo, 5 anni.

 

Il contratto prevede un obbiettivo: l’affidamento dei figli e il diritto di visita per il

 

coniuge non affidatario.

 

Dai colloqui di coppia emerge come per Simone sia intollerabile proseguire la

 

convivenza con Gabriella “.. tutta dedita alle cene, agli amici, alle spese per mantenere un

 

tenore di vita che obbliga a lavorare molto ed a stare poco con i figli (…) e poi non sopporto

 

che prima litighi con suo padre, mi tiri dentro e mi faccia assumere posizioni dure e poi la

 

Domenica dopo voglia andarci a pranzo insieme.”

 

Simone, primogenito del fondatore della ditta nella quale egli stesso lavora, porta un

 

vissuto abbandonico in età infantile, con entrambi i genitori dediti alla fondazione

 

dell’azienda ed una sua precoce adultizzazione in funzione dell’accudimento di sé stesso e del

 

fratello, minore di quattro anni.

 

Gabriella sottolinea ripetutamente di non capire “che cosa non va, siamo felici,

 

possiamo permetterci tutto quello che vogliamo, i bambini stanno bene. Non capisco cosa

 

vuoi”.

 

Gabriella porta in seduta un vissuto infantile di violenza fisica subita, con la madre e le

 

due sorelle maggiori (rispettivamente di tre ed un anno), ad opera del padre.

 

Il “subire” e il “non poter fare ciò che desidera” sono tematiche che ricorrono

 

costantemente nell’arco dei due colloqui individuali che la vedono protagonista. La

 

convocazione dei bambini in mediazione avviene mediante l’utilizzo del disegno congiunto.

 

Nel corso di questa seduta di mediazione emergono:

 

· le esigenze dei bambini di poter stare sia “con babbo che con mamma”;

 

· una posizione di grandissima vicinanza di Elisa al padre e di Edoardo alla

 

madre;

 

· il dolore e la preoccupazione di Simone per i figli e la sua contemporanea

 

impossibilità a rimanere sposato con Gabriella;

 

· la rabbia di Gabriella riguardo alla decisione di Simone e la sua tendenza ad

 

“accaparrarsi” i figli quale ultima chance per tenere Simone.

 

Il lavoro di negoziazione è lungo e difficile, a tratti sembra interrompersi per

 

l’indisponibilità di Gabriella alle richieste di Simone relative ai figli.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

La delusione di Simone è grande. Lui aveva sposato Gabriella con l’intento di

 

“salvarla” dalla sua famiglia di origine e di accudirla e proteggerla, per creare con lei una

 

famiglia dove i figli fossero al centro e, data la positiva situazione economica, non ci fossero

 

né litigi (per soldi o per conflitti relativi alle scelte per le priorità familiari), né scarsa cura dei

 

bambini.

 

Gabriella è stata a lungo “cieca” alle richieste di Simone, non ha compreso quanto lui le

 

domandava, né ha risolto il conflitto con il padre, per il quale ha tirato ripetutamente in causa

 

Simone in sua difesa, per poi sconfermare le posizioni nette che Simone assumeva a nome di

 

entrambi.

 

L’intensa vita sociale sembra essere per Gabriella una sorte di “giostra” riparatrice, sulla

 

quale lei, Simone e i bambini possono salire e scendere a piacimento e rispetto alla quale

 

possono decidere di prendere ciò che vogliono. ”Poter fare ciò che vuole”, “non subire” e

 

confliggere/colludere con il padre sono gli aspetti predominanti che porta Gabriella.

 

La fase della definizione degli accordi giunge con due sedute “di ritardo” rispetto al

 

protocollo standard del processo di mediazione.

 

Tanto tempo è occorso per aiutare Simone ad esplicitare i significati sottesi alla fine del

 

matrimonio e per aiutare Gabriella ad esprime prima la sua rabbia per Simone e poi il suo

 

timore di perdere, con il marito, anche i figli.

 

L’accordo raggiunto prevede l’affidamento congiunto dei bambini, con domicilio presso

 

la madre, che rimane a vivere nella casa coniugale.

 

Il diritto di visita prevede che il padre – che è tornato a vivere con la sua famiglia

 

d’origine, nella stessa città dove vivono i bambini – prenda

 

Con sé i figli a fine settimana alterni, dalle 16.30 del Venerdì, all’uscita da scuola, sino

 

alle 21 della Domenica sera, e, alternativamente, due o tre pomeriggi la settimana, dalle

 

16.30, all’uscita da scuola, sino alle 21.00.

 

Le vacanze di Natale e quelle di Pasqua sono ripartite a metà tra i genitori e

 

comprendono i giorni di Natale e Pasqua ad anni alterni.

 

Le vacanze estive prevedono due settimane consecutive da trascorre con ciascun

 

genitore.

 

Il giorno del compleanno prevede la realizzazione di una festa con gli amici dei

 

bambini, festa alla quale parteciperanno insieme entrambe i genitori.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

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Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

Dall’accordo raggiunto si evidenzia come a prevalere sia stata l’attenzione per i bisogni

 

di Elisa e di Edoardo.

 

La natura fragile che caratterizza la coppia rende la separazione ed il divorzio un evento

 

possibile, che può accadere nella storia coniugale.

 

Questo però non significa ritenere che il passaggio possa essere considerato al pari di

 

qualsiasi altro passaggio del ciclo vitale della famiglia.

 

Non è infatti possibile “normalizzare” ciò che è fonte di dolore e di rischio per le

 

persone coinvolte e per la relazione tra le generazioni.

 

Ogni cambiamento, soprattutto se generato da una perdita, produce disorganizzazione e

 

sofferenza, coinvolgendo l’insieme delle relazioni nelle quali la persona è inserita.

 

Allora, come affrontare questo cambiamento?

 

A quale obiettivo devono tendere i genitori che si separano per assolvere ai compiti di

 

sviluppo che competono loro?

 

L’obiettivo fondamentale di questo passaggio è, per i genitori, affrontare la fine del

 

patto portando in salvo il legame, per sé stessi, riconoscendosi comunque degni di legami, e

 

per i figli (8).

 

Significa, in pratica, cercare e riconoscere, accanto a ciò che è stato fonte di dolore e

 

d’ingiustizia , quello che di buono e di giusto è stato vissuto nella relazione: anche se questo

 

legame è fallito, è valsa la pena di viverlo e vale la pena, nella vita, spendere energie e cure

 

nel legame.

 

Finché questo percorso non è stato compiuto, Gabriella non ha potuto alzare lo sguardo

 

dalla sua “pancia” per vedere i bisogni dei propri figli, né Simone ha potuto accettare il peso

 

della decisione che stava prendendo.

 

Dal contratto di mediazione in avanti, Simone e Gabriella saranno impegnati nella

 

ristrutturazione dei confini, nella definizione della relazione genitore/figli e nel garantire a

 

questi ultimi accesso all’altro genitore.

 

Sarà soltanto la legittimazione reciproca di Simone e Gabriella e delle loro stirpi (9), al

 

di là dei limiti propri di ciascuno, a garantire ad Elisa ed Edoardo il giusto confine ed a

 

rilanciare per loro – oltre che per Simone e Gabriella – la fiducia e la speranza nel legame.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

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Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

Secondo caso: Marco e Rosanna

 

Marco, 37 anni, commerciante, e Rosanna, 35 anni, impiegata, si presentano per

 

chiedere una mediazione familiare in fase di separazione.

 

È Rosanna che chiede l’appuntamento, anche se è Marco che desidera la separazione.

 

Dall’analisi della domanda emerge la determinazione di Marco a chiedere la

 

separazione ed il timore di Rosanna ad affrontarla, per sé stessa ma, prevalentemente, per il

 

loro figlio Davide, di tre anni.

 

La definizione del contratto prevede due obbiettivi: l’affidamento del figlio e il diritto di

 

visita del genitore non affidatario e l’assegnazione della casa coniugale.

 

Dai colloqui di coppia emergono vissuti molto diversi.

 

Marco, figlio unico di una famiglia benestante, ha faticato molto a raggiungere

 

autonomia emotiva ed affettiva della sua famiglia.

 

Lavora nell’azienda della famiglia ma ha acquistato la casa coniugale esclusivamente

 

con i proventi del suo lavoro.

 

Ha lasciato la “fidanzata storica”, scelta/imposta dai genitori, ed ha sposato Rosanna,

 

figlia di immigrati siciliani trasferitisi a Torino a fine anni ’50, conosciuta appunto a Torino

 

nel corso di un viaggio di lavoro.

 

La faticosa conquista dell’autonomia e il fuggire da richieste emotive ed affettive

 

ritenute eccessive sono i temi che porta Marco.

 

La richiesta di separazione che egli formula nasce proprio dall’eccesso di richieste

 

formulate da Rosanna, che alla lunga hanno minato il rapporto.

 

“Era bella, vitale, sicura di sé…questo mi è piaciuto di lei…mi ha portato in giro per

 

Torino e per l’Europa come una sherpa e poi ha iniziato a diventare sempre più ansiosa,

 

insicura, ossessiva.”

 

Rosanna porta un vissuto di figlia di immigrati oggi ben integrati nel tessuto sociale

 

torinese ma che quando lei e, soprattutto, le sorelle – maggiori rispettivamente di 9 e 7 anni –

 

erano piccole, hanno vissuto non poche difficoltà di accettazione.

 

Il padre, operaio alla FIAT, ha sempre mantenuto contatti con la Sicilia e con gli usi ed i

 

costumi dell’isola (festa di Santa Rosalia; il rigore nell’ abbigliamento e nelle movenze della

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

16

 

Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

moglie e delle figlie; ecc.); la moglie e le figlie – ed in particolare la figlia Rosanna -, hanno

 

operato una sorta di scisma rispetto alla cultura di appartenenza.

 

I genitori di Rosanna si sono separati quando lei aveva 12 anni.

 

Rosanna porta il dolore che ancora le provoca questo ricordo e la forte preoccupazione

 

che ha per Davide, che dovrà affrontare a sua volta un evento del genere.

 

Dice di aver sposato in Marco l’uomo libero e tollerante, che apprezzava la sua

 

autonomia e che l’avrebbe portata via dalla famiglia di sole donne in cui viveva.

 

La venuta di Davide in mediazione permette, mediante l’uso del protocollo di Fivaz,:

 

· di rilevare la confusione che egli ha rispetto alla situazione dei genitori (il

 

padre vive già fuori casa ma a Davide ha detto che è via per motivi di lavoro)

 

· di aiutare i genitori a comunicare a Davide la notizia della separazione ed i

 

motivi che la sottendono;

 

· ad aiutare Davide ad esprimere la paura di essere la causa della separazione;

 

· di rassicurare Davide rispetto al suo timore.

 

La fase della negoziazione vede al centro la difficoltà di Marco di lasciare a Rosanna e

 

Davide la casa coniugale, per lui simbolo di libertà faticosamente conquistata e di autonomia;

 

mentre per Rosanna il tema dell’affidamento esclusivo di Davide sembra essere non trattabile.

 

Marco aveva sposato in Rosanna la sua sicurezza e la sua autonomia, non aveva

 

compreso le richieste di riconoscimento e rassicurazione affettiva sottostanti alla posizione

 

della moglie, soprattutto dopo la nascita di Davide.

 

Rosanna non poteva attingere alla propria madre, rimasta a Torino, né alle proprie

 

sorelle, sempre abitanti a Torino: quando è venuta via per sposare Marco, loro non sono state

 

d’accordo, ed i rapporti tra Rosanna e le donne della sua famiglia di origine si sono molto

 

raffreddati nel tempo.

 

Non poteva chiedere aiuto alla suocera perché Marco “regolava con il contagocce” i

 

rapporti con la sua famiglia. Poteva chiedere soltanto a Marco e lo ha fatto; più lei chiedeva,

 

più lui si spaventava e prendeva le distanze.

 

Il raggiungimento degli accordi sopraggiunge dopo aver esplicitato i significati che

 

sottintendono gli oggetti del contendere (la perdita della casa per Marco, sinonimo di perdite

 

dell’autonomia; l’affidamento congiunto per Rosanna, sinonimo di un non riconoscimento

 

delle sue capacità di buona madre, che ha invece bisogno di altri per essere adeguata rispetto

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

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Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

al figlio “in tutte le separazioni, i bambini sono affidati alla mamma…cosa ho io che non va

 

bene? Perché non può essere affidato solo a me?”)

 

Alla fine prevalgono il benessere ed i bisogni di Davide.

 

L’accordo prevede l’affidamento congiunto di Davide, con domicilio prevalente presso

 

la madre, che rimane a vivere, con il figlio, nella casa coniugale.

 

Il padre, che già vive fuori casa, in un appartamento in affitto, potrà tenere presso di sé

 

il figlio a fine settimana alterni, dalle 16.30 del Venerdì, all’uscita dalla scuola, fino alla ore

 

19.00 della Domenica.

 

Le vacanze natalizie e pasquali prevedono il giorno di Natale e di Pasqua da trascorre

 

con l’uno e con l’altro genitore, ad anni alterni.

 

Le vacanze estive prevedono due settimane da trascorre con l’uno e con l’altro genitore,

 

da frazionare fino al compimento del 6° anno d’età di Davide.

 

Con l’accordo raggiunto, il lavoro effettuato ha sostenuto Marco e Rosanna

 

nell’affrontare la fine del patto cercando di portare in salvo il legame.

 

Tante delle difficoltà manifestate da Rosanna in questa fase possono essere in parte

 

connesse alle sofferenze che ancora la donna porta dentro di sé, legate al divorzio dei suoi

 

genitori; dal suo racconto emerge infatti come entrambi i genitori non siano stati in grado di

 

mettere in atto alcuna forma di collaborazione con l’ex coniuge relativamente all’educazione

 

delle figlie, né in relazione alla gestione del conflitto coniugale, che è degenerato fino alla

 

scomparsa del padre, che non ha avuto più contatti con le figlie.

 

I due colloqui effettuati con Rosanna in presenza di Marco l’hanno aiutata a

 

comprendere come il peso che grava questa fase della sua vita sia in parte originato dalla

 

rottura di un altro legame e come non debba essere confuso con la situazione attuale.

 

Per Mario invece comprendere il significato sotteso alla proprietà della casa coniugale è

 

stato chiave di svincolo per uscire dall’IMPASSE nella quale la coppia era bloccata.

 

Quando Marco ha compreso come, consentendo a Rosanna ed a Davide di rimanere

 

nella casa coniugale, mentre lui doveva lasciarla, non significava perdere l’autonomia tanto

 

faticosamente conquistata, bensì rinsaldarla, riuscendo ad anteporre il bisogno di continuità e

 

di stabilità del figlio al proprio, è stato possibile raggiungere l’accordo.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

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Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

CONCLUSIONI

 

Dalla lettura dei due casi presentati si deduce la complessità, ed al contempo la

 

necessità, di chiedere un processo di mediazione in fase di separazione e di divorzio e di

 

includere nel processo di mediazione la partecipazione dei bambini.

 

In tutti e due i casi, senza l’effettuazione dei colloqui in chiave trigenerazionale non

 

sarebbe stato possibile comprendere il significato dell’oggetto del contendere, né avviare le

 

coppie ad una rilettura della loro storia ed alla rielaborazione della fine; senza l’inclusione dei

 

bambini non sarebbe stato possibile aiutare i genitori a comprendere le necessità ed i bisogni

 

dei minori.

 

Nei due casi, il processo di mediazione ha permesso a Simone e Gabriella ed a Marco e

 

Rosanna di:

 

· trattare la fine del patto, rielaborandola;

 

· impegnarsi nella gestione del conflitto coniugale, ridefinendo i confini

 

coniugali e familiari;

 

· pensare a forme di collaborazione con l’ex coniuge, per garantire ad entrambi

 

l’esercizio della funzione genitoriale;

 

· consentire ai figli/al figlio l’accesso all’altro genitore ed alla storia della sua

 

famiglia d’origine.

 

È stato infatti possibile avviare il processo che, dalla frattura del patto, poteva condurre

 

al rilancio della generatività (10).

 

È infatti la legittimazione reciproca dei genitori e delle loro stirpi che garantisce ai figli

 

il giusto confine e rilancia la fiducia e la speranza nel legame: è soltanto muovendo da esso,

 

esplorando i simboli ed i significati che li sottendono, che è possibile sostenere il

 

cambiamento che conduce al suo rilancio.

 

NOTE

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

19

 

Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

(1) Bergonzi Perrone, 2006.

 

(2) Ceccarelli, “L’ascolto del minore nei procedimenti di separazione divorzio”.

 

(3) Bernardini, 1994, 1995, 1997,1999; Bernardini & Scaparro, 1994; Bernardini

 

& De Pace, 1996; Mattavelli, 1994.

 

(4) Bassoli, Mariotti e Frison, 2000; Bassoli, 1999; Busso, 1997; De Bernart,

 

1996,1997a; De Bernart, 1996, 1997b; Mazzei, 2002; Mazzei, 2001; Mazzei &

 

De Bernart, 1998.

 

(5) De Bernart, Francini, Mazzei, Pappalardo, 1999.

 

(6) Minuchin, 1974.

 

(7) De Bernart, Francini, Mazzei, Pappalardo, 1999.

 

(8) Cigoli, 1999.

 

(9) Scabini e Cigoli, 2000.

 

(10) Cigoli, 1998.

 

Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

Istituto di Terapia Familiare di Firenze

 

20

 

Ambarabacciccicoccò. I bambini nelle sedute di mediazione familiare

 

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Conny Leporatti

 

Psicologa Psicoterapeuta, Mediatore Familiare

 

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